Le mie Identità Golose

Eccomi qua, di ritorno da Milano, soddisfatta e felice di aver partecipato ad un evento così importante.  Come avevo scritto qualche post fa, è stata la prima volta non solo ad Identità Golose, ma ad un congresso di cucina in generale. Avevo provato nei giorni precedenti ad immaginare come sarebbe stato, ma la mia immaginazione non era andata molto lontano. Per fortuna, aggiungerei. Si, per fortuna, perché così è stato tutto una bellissima sorpresa.

Sono arrivata in punta di piedi, senza la presunzione di sentirmi davvero parte di quel mondo, nonostante il braccialetto al mio polso dicesse “stampa”, ma si sa che giornalista non sono. Per questo sono ancora più grata ad Elisa, che mi ha contattata, e in generale a chi ha deciso di estendere l’invito  a noi food-bloggers. Penso di non sbagliare nel dire che ci avete fatto un grande regalo.

Non pensavo che partecipare ad un congresso sarebbe potuto essere così stancante. Forse perchè si ha quella foga di vedere tutto, di fare attenzione ad ogni particolare, di carpire ed incamerare ogni informazione, ma inevitabilmente tante, troppe cose si perdono. Quando ti trovi lì, con un fitto programma in mano, a dover scegliere chi seguire e chi abbandonare, sei presa dall’irrefrenabile desiderio di poterti sdoppiare o triplicare.

E così, fin dal primo giorno, ho dovuto scegliere. Tre sale, tre temi diversi, tanti grandi chef. E’ doveroso che io premetta una cosa. Forse potrà sembrare assurdo a qualcuno, ma devo ammettere tutta la mia ignoranza in fatto di “chef”. Fino ad ora non ne conoscevo nessuno, anzi, solo UNO (su di lui tornerò dopo). Ora, grazie ad Identità Golose, mi sento un pelino più ferrata in materia.

 

Dunque, tornando alle scelte, il primo giorno ho deciso di buttarmi sulla pasticceria. Non avrei potuto fare diversamente, chi mi conosce lo sa che i dolci sono la mia grande passione. Vedere all’opera Simone Padoan, Giuseppe Rambaldi e Marion Lichtle e carpire i loro trucchi è stato illuminante. Ho talmente apprezzato che spero di riuscire a riproporre presto su I Love Cooking qualcuna delle loro dolci creazioni. Vedremo se il tempo e la mia abilità me lo permetteranno.

Il secondo giorno è stato all’insegna della birra (Moretti, uno degli sponsor dell’evento). Devo dire che non sono riuscita a seguire tutti gli interventi, nel mentre infatti c’era anche LUI, ma sono stata abbastanza fortunata da assistere alla “conferenza” di Marco Stabile (n.d.r. Ora d’aria – Firenze) e assaggiare la sua ricetta, premiata in seguito come miglior ricetta con la birra. Le sue proposte sono state audaci. Servire una tartare di manzo piemontese e le animelle con miele e birra ad un’intera platea di persone, potrebbe sembrare azzardato. Nonostante io non ami la carne cruda (mai mangiata una tartare prima) e ricorra sempre ad un menu’ di riserva se mia mamma mette in tavola animelle, trippa e interiora di ogni tipo, ho detto “no, questa roba qui l’assaggio!”. E meno male! La tartare è stata una scoperta entusiasmante. Una carne tenerissima, tagliata non troppo minuziosamente, per “farsi masticare”, marinata nella birra bionda e guarnita, non a caso, con bastoncini di pera cruda. Il sapore della birra era delicato ma chiaramente percepibile, dava alla carne una marcia in più. La pera non aggiunge nulla in sapore, ma ho scoperto che aiuta a digerire, e serve con la carne cruda che di per se è poco digeribile. Non sono rimasta sorpresa nello scoprire, poi, che questa è stata la ricetta vincitrice del premio.

Ho assaggiato anche le animelle. Anch’esse marinate nella birra, cotte in sottovuoto, tagliate a fette e “impanate” in una granella di nocciole e poi accompagnate da guanciale toscano e qualcos’altro che ora mi sfugge. Il sapore era molto gradevole, la consistenza però mi ha fatto ricordare prepotentemente cosa stavo masticando. Ho gradito, comunque.

Prima di parlare di LUI, faccio un piccolo salto avanti, al terzo ed ultimo giorno. Chi mi conosce bene sa anche che io amo la Sicilia, mi viene l’acquolina in bocca al solo pensare agli arancini (o alle arancine?) e sono ghiotta di supplì – la versione laziale (forse originaria proprio di Roma) delle palline di riso fritte. Potevo quindi mancare all’appuntamento con Accursio Capraro (n.d.r. La Gazza Ladra – Modica) dedicato al “mondo degli arancini” ? Ovviamente, no. Sono due le ricette che Capraro ci ha proposto, ma una è stata a rubarmi il cuore, tanto che la prima cosa che ho pensato è stata “quest’estate vado a Modica a mangiarne altri cento!”. Si perchè il suo arancino rivisitato è stato qualcosa di strepitoso, un trionfo, una prelibatezza, una goduria. Questo grande chef è riuscito a ricreare la panatura dell’arancino fritto senza effettivamente fare l’arancino. Ha realizzato (seguendo un procedimento che detto da lui sembra semplice, ma per me è difficilissimo!) una crosta “cupolosa”, croccante e dal sapore molto simile a quella della panatura dell’arancino. Ha nel frattempo cucinato il riso (una varietà di riso integrale, l’ ermes), l’ha condito con un ragù di frutti di mare (sgusciati a crudo!!) e l’ha mantecato con una crema di pistacchi di Bronte. Ha poi impiattato il riso, aggiunto un pezzetto di caglio di pecora (per dare una nota acidula) e ha coperto il tutto con il guscio di panatura. Credetemi sulla parola, è stato qualcosa di fenomenale.

max b copy

Max Bottura è LUI. L’unico chef che io conoscessi prima di approdare ad Identità Golose. Lo conoscevo non perchè è il più grande chef del mondo, così decretato poprio nei giorni scorsi, ma per puro caso.

Io non sono modenese, ma a Modena ho trascorso gran parte degli ultimi anni per via dell’università. Tante volte sono passata davanti al suo ristorante, mi sono fermata, ho sbirciato dentro per vedere che posto fosse, per poi correre a lezione. Una sera, senza neanche rendermi conto di dove stessi mettendo piede, ho varcato la soglia dell’Osteria pensando di poter avere una cena tranquilla nel locale, ma lo trovai pieno. Qualche tempo dopo, sfogliando la guida del Gambero Rosso, vidi che l’Osteria era riportata nella guida e poi, chiedendo in giro, scoprii Massimo Bottura. Da quel momento in poi decisi che un ristorante così tanto prestigioso non poteva essere alla portata di una studentessa squattrinata. Era il mio primo anno di università, da allora ne sono passati 5 e in quei 5 anni non ho mai più messo piede nell’Osteria Francescana, nonostante ne restassi sempre incuriosita. Grazie ad Identità Golose sono riuscita finalmente a vedere Max Bottura all’opera, ho visto lo chef, il creativo, lo sperimentatore, lo scenziato e il poeta. L’incorntro con Bottura per me è stato simbolico; tra poco più di venti giorni smetterò i panni della studentessa e saluterò Modena, e l’impressione che mi resta è quella di aver chiuso un cerchio…mi ci è voluto un po’, ma alla fine ci sono arrivata.

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